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  • Cantina Storica di Montù Beccaria

    C'era una volta una cantina sociale che era riuscita ad affrancare i produttori di nobili uve da commercianti avidi e da usurai, a dare dignità al vino di una zona di grande vocazione creando un circuito commerciale capace di portarlo in paesi lontani....

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Cantina Storica di Montù Beccaria

Produzione Vini Spumanti Grappe di Qualità Montù Beccaria Oltrepò Pavese Pavia Lombardia Italia

Contatti

Montù Beccaria Via Marconi, 10 +39 0385 262252 +39 0385 262942

Descrizione

C'era una volta una cantina sociale che era riuscita ad affrancare i produttori di nobili uve da commercianti avidi e da usurai, a dare dignità al vino di una zona di grande vocazione creando un circuito commerciale capace di portarlo in paesi lontani. Per decenni un'intera comunità collinare prosperò sulle sue fortune. Poi, con l'avvento della meccanizzazione agricola, l'enologia si spostò a valle, pur lasciando la vite abbarbicata sui colli. E per la cantina sociale cominciò il declino: il prezioso fabbricato, adibito a deposito di brandy, venne trascurato e l'erba nel cortile crebbe sempre più alta e incolta. Un bel giorno un notaio di origine agricola radunò la famiglia e alcuni amici proponendo di fare della cantina sociale il nuovo punto di riferimento dell'enologia del comprensorio.

Così ingegneri, architetti, muratori, enologi illuminati, gastronomi e chi più ne ha più ne metta, cominciarono ad avventurarsi sull'erto colle dove sorge il fabbricato e nel giro di un paio d'anni compirono un vero miracolo: non solo la costruzione fu riportata all'originario splendore nel più profondo rispetto delle regole del recupero archeologico, ma insieme alla rivisitata cantina fu installata una preziosa distilleria e trovò posto un punto conviviale dove trionfa la cucina tipica della zona.

Parrebbe una favola, ma è realtà: siamo in Oltrepo Pavese alle soglie del terzo millennio; la cantina sociale era quella di Montù Beccaria, fondata, tra le prime in Italia, nel lontano 1902; le famiglie impegnate nell'operazione sono quelle di Franco Tonalini, notaio di origine agricola, e di Riccardo Ottina, enologo di origine albese e dirigente di spicco del comparto vitivinicolo.

Per il Montù il credo produttivo è saldamente legato ai vigneti, che si estendono per oltre ottanta ettari sui colli della Valle Versa, nel fertile e suggestivo lembo orientale dell'Oltrepo pavese, e formano due nuclei distinti, che fanno capo alle due famiglie dei soci.

"Le Vigne Tonalini" condotte direttamente da cinque generazioni, si trovano all'imbocco della Valle Versa, a cavallo del costone a sommità piatta di Casa Bianca, nel Comune di Montù Beccaria, ad una altitudine media di 200 metri. Il nucleo centrale è situato proprio nella plaga ove, già nel nono secolo, la romanica Pieve di Auliano produceva ogni anno l'equivalente di 3.150 litri di rinomato vino, versandone 40 anfore al Monastero di San Colombano in Bobbio. I vigneti si estendono verso est sul pendio del Doiolo (Doliolum), sotto il campanile di Zenevredo, su quegli stessi terreni ove già nel 1200 il Monastero di Santa Maria di Teodote (o della Pusterla) coltivava la vite a "vigna fitta", producendo un vino prodigioso che da Portus Albera veniva condotto via fiume fino a Pavia. Verso ovest l'azienda arriva fino sul fianco dello sperone di Stradella.

L'esposizione principale verso sud e il leggero volgersi degli impianti verso levante e ponente costituiscono il presupposto essenziale per la qualità e la diversificazione delle uve prodotte. Altre condizioni favorevoli si trovano nel clima mesotermico subcontinentale (assenza di periodi di aridità), nella scarsa esposizione alle perturbazioni in arrivo da est e nella composizione del suolo, che alterna formazioni gassose solforifere ad argille marnose e arenaria. Troviamo perciò qui riuniti i tre fattori fisiografici più importanti: clima, suolo e pendenza, che insieme al paesaggio danno luogo a quella perfetta combinazione che i francesi condensano nella parola "terroir".

I vigneti dell'azienda agricola Ottina, a loro volta direttamente ed ininterrottamente condotti da sei generazioni in linea materna, sono situati a chiusura della parte nobile della Valle Versa, sui vecchi territori di Begolium, San Bacchino, Rosara e Falerna e in parte a monte in località Cella, a una altitudine media di 300 metri. Qui i terreni sono di natura argillosa colloidale, ricchi di magnesio, azoto, fosforo e calcio, il clima è pure mesotermico subcontinentale, la piovosità nella media, con una decisa escursione termica tra il giorno e la notte. Questo perfetto "terroir" sintetizza le migliori condizioni ambientali per i vini bianchi in genere, e soprattutto per le uve destinate alla spumantizzazione.

Non a caso i vigneti de Il Montù si trovano a cavallo del famoso 45° parallelo, comune denominatore per la produzione di vini pregiati in tutto il mondo.

Entrambe le aziende vengono gestite con i sistemi tradizionali, dalla concimazione organica alla coltivazione in conversione biologica, con impianti a "filari alla Stradellesa" a potatura corta. La raccolta è rigorosamente manuale, anche per consentire la vendemmia tardiva o di acini nobili.

Sono stati conservati, ove possibile, i vecchi vigneti con i ceppi autoctoni, i più adatti a produzioni pregiate. Accanto a questi sono però in atto vivai sperimentali per il recupero di varietà abbandonate quali Moradella, Crova, Basgano e Vermiglio. Una particolare cura viene rivolta al rispetto delle norme igieniche, sia nella fase di raccolta, che per i cru viene effettuata nelle prime ore del mattino, quando la temperatura delle uve scende a 10 - 12 gradi, evitando così il trauma da calore, sia nella fase del trasporto e della pigiatura.

Lasciandosi alle spalle Stradella, fiorente centro oltrepadano dotato di un casello autostradale sulla Torino-Piacenza, si imbocca la Valle Versa lungo una strada che corre abbracciata da vigneti che scendono ordinati lungo pendii a volte erti e altre dolci e ondulati. Basta un paio di chilometri per incontrare, sulla sinistra, il primo cartello che indica l'abitato di Montù Beccaria, un comune che oggi conta poco più di duemila anime. Qui, aggrappata alla collina, compresa tra due tratti della strada che volge su se stessa per vincere l'erta pendenza, sorge la storica cantina che fu progettata su tre piani, all'inizio del secolo, dall'ingegnere milanese Angelo Omodeo.

E' una costruzione ardita che racchiude l'intelligenza di un'epoca in cui l'energia era scarsa e costosa e quindi se ne pensava una più del diavolo per sfruttare al massimo quella forza di gravità che è disponibile per tutti gratuitamente, anche perché nessun governo ha mai pensato di tassarla. L'opificio, che si sviluppa secondo una "T" rovesciata disposta secondo la linea di massima pendenza, riceveva infatti le uve dal tratto di strada superiore dove i frutti erano ridotti in mosto con fantastiche pigiatrici - all'epoca davvero avveniristiche - mosse da un motore a vapore. Da questo momento il percorso del futuro vino, dai molti travasi fino alla spedizione, era tutto in discesa.

Dal porticato in abete rosso che orna la facciata superiore, preposto all'accoglienza tanto delle uve che dei visitatori, agli imponenti tetti a capriata e ai soppalchi poderosi, il vero re della costruzione, lavorato in modo mirabile, è il legno, che sposa il mattone rosso delle fornaci di Stradella degli albori del nostro secolo. E il legno ancora si esprime, rendendo l'ambiente caldo e amichevole, nei grandi tini di rovere di slavonia e nelle botti dall'enorme ventre. Nel recupero attento e rispettoso della storia che è stato eseguito, tutta la parte strutturale è stata mantenuta e riportata agli antichi splendori, compresi, in congrua aliquota, i tini e le botti, seppure con il cambio di destinazione decretato dai tempi. I tini sono stati trasformati in salotti da conversazione, spazi incantati per incontri conviviali intimi e di grande suggestione, le botti in spazi espositivi.

Ma se all'epoca in cui è sorta la cantina il legno era ancora il principe dei materiali per i vasi vinari, già allora altre tecnologie si stavano ricercando per migliorare la conservazione del vino. Tra queste, ovviamente, il cemento armato, robusto e quasi indistruttibile, che però aveva la cattiva abitudine di cedere sali di calcio al vino, pericolosi perché compromettenti la stabilità della bevanda di Bacco.

Per ovviare all'inconveniente era stato preconizzato l'uso delle piastrelle di vetro che, fissate alle pareti della vasche in muratura, le trasformavano in specie di gigantesche bottiglie, con tutti i pregi di questi contenitori. Le piastrelle di vetro non ebbero molta fortuna per un solo motivo: il costo proibitivo. Ma la Cantina Sociale di Montù Beccaria, diretta da personaggi lungimiranti, competenti e coraggiosi, le adottò alla grande costruendo ben due vasche della capacità complessiva di 4.000 ettolitri. Mentre un tempo solo agli addetti ai lavori era dato di entrare in questi grandi contenitori, a volte con pericolo della loro stessa vita, e solo una parte degli enologi viventi ha avuto modo di conoscere tale tipo di costruzione enologiche, con il restauro dell'edificio le vasche sono state aperte e vengono adibite a suggestive sale di invecchiamento.

Ospiti, studiosi o semplici amanti della civiltà del vino possono quindi addentrarsi in questo frammento insolito di archeologia industriale.

La mirabile sintesi tra soluzioni tecniche e raffinatezza costruttiva, veramente insolita per quell'epoca in cui il vino aveva una valenza prettamente alimentare e quindi i creatori d'immagine venivano lasciati in altri ambiti, trovava un altro punto focale nel locale tinaia dove due ordini di slanciate colonne ornate da capitello sorreggevano un soffitto a voltine di notevole suggestione.

Oggi la splendida sala ospita una delle più preziose grapperie che l'Italia possa vantare.

Un tempo l'alambicco viveva felice in cantina insieme alle altre attrezzature enologiche e riceveva le vinacce ancora calde e fragranti di fermentazione. Poi le necessità del controllo fiscale sulla produzione degli alcoli hanno creato una separazione forzata tra i figli della vite, con forte danno per entrambi. La cupidigia della botte non nuoce infatti solamente alla qualità della nostra acquavite di bandiera, ma anche a quella del vino: se è vero infatti che le grandi grappe nascono da vinacce ricche di umori vinosi, è altrettanto vero che impoverire troppo di liquido la massa destinata all'alambicco significa fare lavorare molto il torchio a scapito della qualità del vino. Per decenni la separazione di interessi tra vinificatore e grappaiolo, creata artificiosamente dal legislatore, ha di fatto prodotto una non lieve difficoltà a ottenere l'alta qualità.

Quasi una sfida storica pare dunque l'alambicco de Il Montù, che superando le difficoltà indotte dalla vigente normativa ha nuovamente unito l'arte dell'enologo a quella del grappaiolo, comprendendo nel medesimo complesso cantina e distilleria. Naturalmente non si tratta di un impianto megagalattico con svettanti colonne, ma di tamburlani a misura d'uomo che, progettati operando un selettivo recupero delle tecnologie del passato attraverso le moderne conoscenze, racchiudono una specie di sintesi storica di notevole interesse.

La filosofia che sta alla base del progetto è naturalmente rivolta alla qualità nell'accezione di ottenere in lambicco la quintessenza di ciò che Madre natura produce nel vigneto e che l'uomo modella in cantina. Il motivo conduttore che ha ispirato la progettazione dell'impianto è stato indotto dalla forte convinzione di trasferire in una bottiglia di grappa o di acquavite d'uva i mirabili aromi che vengono sintetizzati dalla pianta nell'acino e di quelli che si formano nel corso della fermentazione alcolica. Ed essendo questi diversi per vitigno, esposizione, andamento climatico e tecnologie fermentative, occorreva un alambicco di grande versatilità, capace di adeguarsi, sotto la sapiente conduzione del mastro distillatore, alla materia prima per poter dare acquaviti differenti ogni volta questa ha variazioni.

In parole povere l'alambicco de Il Montù è lo strumento con il quale il mastro distillatore scolpisce il profilo sensoriale del futuro spirito esaltando le caratteristiche intrinseche della materia prima. Ecco dunque il ritorno alla distillazione con l'antico sistema del ripasso, seppure in chiave moderna: prima l'ottenimento di una flemma di basso grado alcolico, poi la ridistillazione medesima in due lenti alambicchi bagnomaria in rame con la separazione delle teste e delle code eseguite a mano. L'acquavite nasce dunque in questo modo che ripercorre i passi degli studiosi del Rinascimento, quando la colonna non era ancora apparsa nel sogno di chi voleva distillare molto e in fretta. Durante il lento riscaldarsi delle flemme al dolce calore del bagnomaria, si formano infatti centinaia di nuove molecole dall'unione di quelle prodotte dalla vite e dai lieviti durante la distillazione.

Così il profilo della grappa o dell'acquavite d'uva si fa complesso, la sua fragranza aumenta, la persistenza si fa lunga e le ultime note che tardano ad abbandonare il cavo orale richiamano un nuovo sorso.

La straordinaria varietà di vitigni dell'Oltrepo aiuta non poco la missione dell'alambicco de Il Montù, ma gli rende anche difficile la vita: occorre separare le diverse partite di vinaccia e, non di rado, ogni lambiccata è un caso a parte, una nuova creazione da seguire con arte e consumata competenza. Una simile tecnologia non accetta infatti materia prima di non buona qualità, ma neppure disattenzione durante la fase di distillazione. E come se non bastasse, tutto l'opificio ha dovuto essere progettato per tenere separate le materie prime e le acquaviti nei diversi passaggi che ne determinano la filiera produttiva. Questo comporta ovviamente grandi sacrifici tanto sul piano degli investimenti che su quello dell'organizzazione del lavoro, ma reca un vantaggio di primaria grandezza: la possibilità di creare grappe personalizzate per le centinaia di aziende vitivinicole che operano in zona. Perché l'alambicco de Il Montù è nato anche per questo.

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