"Un luogo di culto del vino nel mondo. Ci lamentiamo spesso noi italiani di non avere i nostrani Chateaux Margaux, e i Romanée Conti o gli Opus One. E sbagliamo perché in Italia esistono alcune "case" vinicole che sono qualcosa d'oltre e d'altro rispetto ad una affascinante cantina. Sono quelle - relativamente poche - culle della civiltà di Bacco dove tutto è semplicemente perfetto e dove il tempo diventa memoria nella storia, ricordo nelle sensazioni, ingrediente indispensabile nella formazione del vino. Castello di Ama è uno di questi punti di incontro delle armonie assolute (...)"
Carlo Cambi - Il Buon Vino - Ist. Geografico De Agostini - 2005
Ama è un piccolo borgo tra le colline, a circa 500 metri sul livello del mare, nel comune di Gaiole in Chianti in provincia di Siena. Si trova nel cuore del Chianti Classico storico, dove i vigneti si alternano agli oliveti e al bosco.
L'Azienda, nata nel 1972 per amore di quattro famiglie romane, ha attualmente una superficie totale di circa 250 ettari dei quali 90 coltivati a vigneto e 40 a ulivo, posti ad un'altitudine media di 480 metri. La produzione, proveniente esclusivamente dai propri vigneti, si aggira intorno alle 300-350 mila bottiglie per anno, che corrispondono a circa 3500-4000 bottiglie per ettaro, e trova il suo paradigma nel "Castello di Ama" un vino ottenuto attraverso la selezione delle zone più vocate a Sangiovese.
Ama è in un'area di grande antichità di insediamento, come concordemente testimoniano l'archeologia e la toponomastica. È presumibile una continuità insediativa ad Ama dalla tarda antichità all'alto medioevo. Tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo si insediò qui una famiglia nobile locale, in rapporto di vassallaggio con i Ricasoli. Lo si deduce dal contenuto di due "privilegi", il primo dell'imperatore Enrico VI (del 1197) ed il secondo dell'imperatore Ottone IV (del 1210), che nel concedere a Ranieri Ricasoli dei Firidolfi beni e giurisdizioni su alcuni castelli chiantigiani e sui loro uomini, menzionano anche i diritti su un loro fedele: Drudolo da Ama.
È di alcuni anni successivi (1219) un atto nel quale tale Diotisalvi di Drudolo di Ruggiero da Cacchiano vende alla Badia di San Lorenzo a Coltibuono, per lire 80 senesi, la metà di alcuni suoi effetti posti in "castello d'Ama". Sul finire del Medioevo, all'epoca dell'istituzione del Catasto fiorentino (1427), la situazione appare cambiata ad Ama: non viene più indicata come "castello" e risulta avere un "peso" demografico non dissimile a quello degli altri centri del piviere di San Polo in Rosso, vivono infatti tre sole famiglie, piccoli proprietari terrieri.
Il clima di sicurezza che si affermò in tutta la Toscana con il costituirsi del Granducato e con l'annessione dello Stato di Siena (1555) non potè che riflettersi positivamente sulle capacità produttive dell'agricoltura. È quanto dovette verificarsi anche ad Ama ove, tra il XVI ed il XVII secolo, emersero alcuni proprietari di media grandezza, discendenti, con ogni probabilità, da quelle stesse famiglie documentate nel Quattrocento: i Pianigiani in primo luogo e i Ricucci.
Un secolo più tardi la campagna intorno ad Ama doveva presentarsi come una sorta di comprensorio agricolo modello. È estremamente significativo che il granduca Pietro Leopoldo, in occasione della sua visita in Chianti del 1773, ammirando la trama geometricamente ordinata dei filari delle viti e degli olivi dicesse che "intorno al castello d'Amma vi sono le colline e valli più belle di tutto il Chianti, coltivate a maraviglia con terreni fertili a grani, ulivi e vigne bellissime, ben esposte, assolative, tutte tenute ottimamente e come giardini, con molta popolazione e case sparse per la campagna; questa parte è la più rinomata del Chianti..."
La villa Ricucci è l'unica che ha conservato pressoché inalterati gli originali caratteri settecenteschi, con il suo bel prospetto illeggiadrito da una scala a doppia rampa culminante in un elegante balconcino. Completamente rinnovata in forme vagamente neoclassiche è invece villa Pianigiani: un grande edificio a pianta quadrangolare, di ferma e rigorosa eleganza, sormontato da una torretta-piccionaia, alla maniera delle coeve case coloniche.
Nel corso dell'ottocento e sino a metà del novecento, Ama, per la presenza di ben quattro fattorie, costituiva un aggregato rurale di una certa consistenza che, per popolazione residente, si poneva tra le principali frazioni del comune di Gaiole.
Notizie storiche tratte dai Quaderni del Centro Studi Storici Chiantigiani a cura del del Prof. Renato Stopani.
Nel 1982 la gestione tecnica dell'azienda è affidata a Marco Pallanti, giovane agronomo, che nel giro di qualche anno diventa uno dei più stimati enologi toscani, fino ad essere consacrato, nel 2003, Winemaker of the year, come enologo d'azienda dalla Guida Vini d'Italia di Gambero Rosso e Slow Food. Iniziava, quindi, una lunga fase di studio per individuare con esattezza le potenzialità del territorio in modo da valorizzare la produzione. La divisione dei vari appezzamenti in parcelle omogenee e lo studio sull'andamento della maturazione indicarono la via da seguire: furono scelte le migliori zone dove coltivare il Sangiovese, facendosi guidare dall'obiettivo della qualità.
Contemporaneamente, iniziò la sperimentazione di varietà non tradizionali, Merlot, Chardonnay, Pinot per trovare, in quegli appezzamenti dove il Sangiovese era stato escluso, un'uva capace di esaltare il particolare terroir di Ama. In altre parole, la continua ricerca della zona più idonea a ciascuna varietà fa sì che ogni vino sia espressione fedele dello straordinario terroir di Ama.
Nel quinquennio 1982-1987 furono reinnestate circa 50mila piante, un'enormità se pensiamo che la densità per ettaro era di 2.800 viti. Un'altra pietra angolare nella costruzione del successo dei vini del Castello di Ama è rappresentata dalla ricerca di nuove forme di allevamento dei vigneti, finalizzate ad ottimizzare la maturazione delle uve. Nel 1982, per la prima volta in Italia, si vedono ad Ama delle viti dove la parete fogliare è sdoppiata a forma di V. Il sistema, detto a lira aperta per la somiglianza che il profilo della pianta assume con lo strumento musicale, era il frutto di studi effettuati in Francia e veniva proposta per vigne a bassa densità di impianto. Lo scopo è quello di incrementare il potenziale qualitativo delle uve attraverso una maggiore superficie fogliare esposta; la foglia, simile ad un pannello, catturerà più energia solare da cedere ai grappoli.
In pochi anni sono trasformati 23 ettari di vigneto coltivati soprattutto a Sangiovese. Come s'intuisce da queste premesse è la vigna che ha catalizzato, da subito, gli investimenti più cospicui. Una scelta che continua nel tempo grazie agli annuali investimenti di reimpianto e di cura dei vigneti.