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La Reggia di Caserta

IL PROGETTO
Carlo di Borbone portò un notevole contributo all'elaborazione del disegno generale, ed ancor di più Maria Amalia di Sassonia, che scelse personalmente stoffe e decori. I sovrani verificarono insieme all'architetto i perimetri primari delle fondamenta, i tracciati dei viali, le piantagioni già messe a dimora. La prima presentazione dei disegni del progetto ai sovrani è descritta da Vanvitelli nella lettera al fratello Urbano del 22 maggio 1751. Nelle intenzioni del progettista, il palazzo doveva avere una facciata di ordine ionico con l'architettura dell'ingresso più grande del resto della fronte per darvi maggiore risalto. Nel mezzo, il cortile principale circondato da quattro minori. due magnifiche scale erano poste simmetricamente al cortile centrale.
All'esterno il palazzo è di una compostezza grave e solenne: caduto il richiamo al castello turrito del primo progetto, s'innalza una reggia moderna, dove nessun ordine sovrastante diminuisce l'importanza monumentale del corpo centrale. al di fuori del particolare decorativo delle lesene, che variano di numero a seconda che si trovino sulla fronte esterna o su quella verso il parco, le facciate hanno una struttura uguale strettamente connessa alla pianta. I corpi di fabbrica che s'intersecano ad angolo retto prolungano le loro testate un po' oltre la linea perimetrale, dando luogo ad articolazioni accentuate dalle colonnine degli avancorpi. Vanvitelli trascura volutamente i portali esterni per non turbare la compattezza dello stilobate e dare risalto ai piani superiori.

LA REALIZZAZIONE
Con la solenne funzione per la posa della prima pietra il 20 gennaio 1752, si dà inizio all'attività per la costruzione del palazzo reale, impegnando per l'edificazione del solo palazzo circa 4.500.000 di ducati. La direzione tecnica era composta dal direttore generale e due aiutanti. Pietro Bernasconi era il capomastro di un'ingente schiera di maestranze, tra i quali donne e ragazzi, accanto ai quali furono impiegati i forzati e gli schiavi. Il programma dei lavori subì enormi ritardi rispetto ai 10 anni previsti, a causa di varie vicende che si verificarono nel corso degli anni: nel 1759 Carlo lasciò Napoli per la Spagna e ciò rallentò i lavori e spense un po' l'entusiasmo di Vanvitelli, nel 1764 vi fu una sosta forzata a causa della carestia e dell'epidemia che ne seguì, nel marzo 1773 morì Vanvitelli. L'opera era ancora lontana dal suo completamento, quando subentrò il figlio Carlo, che cercò di non tradire il disegno paterno, pur senza riuscire a portarla a termine com'era nel progetto.

L'ARTICOLAZIONE SPAZIALE
Una delle invenzioni vanvitelliane più felici consiste nell'uso delle gallerie e dei vestiboli allineati sull'asse dell'edificio e nel compito pratico ed estetico ad essi assegnato, intimamente connesso allo sviluppo della pianta centrale. Il sistema di circolazione interna è reso perfetto dai passaggi radiali che collegano i vestiboli ai cortili e dagli androni che, a loro volta, mettono in comunicazione i cortili fra loro e con l'esterno: un'equilibrata rete di passaggi e di piazzali che permetterà lo svolgersi di parate, balli, sfilate e banchetti senza confusione, ingorghi o incidenti.
I vestiboli sono ottagonali, a peristilio, coperti da calotte che poggiano su colonne; quello centrale è amplissimo e luminoso. alla sua destra, la scala regia; a sinistra, la statua di ercole su di un alto plinto; di fronte, sullo sfondo verde della collina, la cascata scintillante al sole, "obelisco di cristallo ritto sopra la base fantastica disegnata dai nastri bianchi dei viali" (G.Chierici, la reggia di caserta, 1930). attraverso gli archi della galleria si vedono i cortili, vasti come piazze, di cui hanno anche la funzione secondo i canoni dell'architettura vanvitelliana: nella reggia di caserta il posto del cortile è preso dalla galleria assiale che offre una prospettiva in profondità, dove i quattro cortili sono pozzi di luce, luoghi di passaggio o di sosta necessari allo svolgimento della vita di corte, penetrazioni della strada nel palazzo, e non più luoghi chiusi interni ad esso.
Tutto il complesso suggerisce un'idea di ordine e simmetria, una sorta di "classicismo di stato" com'era nelle intenzioni di carlo, ma anche una forte compenetrazione tra il potere centrale e l'amministrazione dello stato, tra la corte e i suoi cittadini. appare chiara, e stretta, la concatenazione creata per mezzo della galleria- cannocchiale tra l'edificio e il parco, che costituisce parte integrante della fabbrica: sullo sfondo smeraldo dei prati si stagliano i viali bianchi, la massa degli alberi aperta nel mezzo mostra in lontananza la distesa d'acqua che si modella sulle pendenze del terreno; in questo quadro austero e sobrio, la vigorosa architettura del palazzo appare in tutto il suo valore monumentale, in cui volumi, colori, forme e superfici raggiungono un'insuperabile unità d'espressione

DESTINAZIONE D'USO
L'edificio è a pianta rettangolare, racchiude quattro cortili pure rettangolari, è alto 36 metri ed è composto da cinque piani, oltre ad un sotterraneo ingegnosamente illuminato dalla luce esterna dove erano poste le cucine, le cantine e le officine. esternamente presenta un basamento a bugnato, due piani adorni di mezze colonne e di lesene scanalate e un ultimo piano circondato da una balaustrata. la facciata principale ha tre ingressi arcuati, 2 porte e 243 finestre; sull'ingresso è posto un nicchione con un'epigrafe a ricordo di carlo e ferdinando.
La facciata che dà sul parco è uguale, ma più ricca, con finestre inquadrate da lesene scanalate.

IL PALAZZO

Lo scalone d'onore
La scala regia rappresenta nella sua composizione architettonica una delle invenzioni più felici di Vanvitelli, a cominciare dalla sua posizione a destra del vestibolo centrale. essa conduce al peristilio centrale superiore su cui si aprono la cappella e le due file di anticamere attraverso cui si accede agli appartamenti reali. Lo scalone, luminosissimo, si sviluppa in una grande rampa centrale, ricavata da un sol blocco di marmo, che si divide in due rampe parallele a partire da un pianerottolo, su cui vigilano due leoni marmorei che simboleggiano la forza della ragione e delle armi (eseguiti da Paolo Persico e Tommaso Solari). La sua magnificenza, dovuta ai colori dei marmi pregiati adoperati per i pilastri, alle eleganti volte che si raccolgono intorno ad una cupola, agli archi e alle cornici, alle tre arcate alle quali si allaccia l'ordine della scala a guisa di pronao, ne fanno un esemplare unico.
L'immensa volta aerea è aperta al centro da un oculo ovale, costruito non solo per ospitare un'invisibile cantoria, ma anche per inquadrare la parte centrale della cupola superiore. La lamia finta è costituita da una incannucciata incollata alle centine, sospesa tramite tiranti di legno alle capriate del tetto. In quest'opera ci sono fantasia, arte, tecnica e ardimento nella costruzione, e ben s'immaginano le difficoltà incontrate e magistralmente superate per la sua realizzazione. la scala è rivestita di marmo cipollino, mentre le fiancate della rampa centrale e le pareti del vano sono impiallacciate di marmi siciliani, di vitulano, bardiglio e carrara.

Gli appartamenti reali
Vanvitelli aveva progettato di distribuire nel piano reale otto appartamenti: uno per il re, uno per la regina, due per le principesse reali, due per i principi secondogeniti ed uno ciascuno per il principe e la principessa ereditari. Durante la costruzione del palazzo, la famiglia reale abitava nel palazzo baronale, oggi sede della prefettura. All'incirca nel 1780 fu terminato l'appartamento dei secondogeniti, per cui i sovrani vi si trasferirono; nel 1783 fu terminato un altro appartamento ed il re, per accelerare i lavori, ordinò che le pitture fossero simili a quelle esistenti nell'appartamento delle principesse: questa parte del palazzo prende il nome di appartamento vecchio, per distinguerla da quella realizzata successivamente, definita appartamento nuovo, che fu completato solo durante il regno di Francesco II.
Gli appartamenti reali cominciano dalla sala degli alabardieri, le cui pareti sono decorate da leggeri pannelli di stucco; la luminosità della sala fa risaltare il bruno della pietra, l'oro delle corone, dei festoni e dei gigli borbonici, e i toni caldi della tela nella volta centrale decorata da Domenico Mondo nel 1785, rappresentante il trionfo delle armi borboniche.
La seconda anticamera, delle guardie del corpo, è molto più ricca di stucchi: gruppi di putti si staccano dalle volte reggendo bandiere, porte e finestre sono sovrastate da pannelli ad altorilievo raffiguranti episodi storici dell'antichità avvenuti nel reame. di fronte alle finestre c'è un gruppo marmoreo raffigurante Alessandro Farnese incoronato dalla vittoria.
L'ultima delle anticamere è dedicata ad Alessandro il Grande; sulla volta nozze di Alessandro e Rossana, sulle pareti bassorilievi di stucco raffiguranti episodi della sua vita, fatti eseguire da Gioacchino Murat durante il suo regno, e due tele che ricordano il fondatore della dinastia: Carlo di Borbone alla battaglia di Velletri e l'abdicazione di Carlo a favore del figlio. La sala ha subito molte peripezie nella realizzazione rispetto al progetto originario, ma è degna del palazzo con i rivestimenti di granito, i bassorilievi, il grande dipinto sulla volta, il ritratto di alessandro sul medaglione del camino.

La pinacoteca
La pinacoteca casertana è in realtà una serie di ambienti in cui sono state raccolte varie opere: nature morte di pittori italiani e olandesi dell'ottocento, quadri di battaglie e figurazioni di guerre. I ritratti della famiglia Borbone, sia d'Italia che di Francia, sono raccolti nella quadreria, che comprende varie sale in successione, dove si possono ammirare i ritratti di Carlo e Maria Amalia, immagini ufficiali degli sposi, due grandi tele di Francesco Solimena, Filippo V e il ritratto a cavallo di Carlo III alla battaglia di Velletri, del 1744; l'albero genealogico dei Borbone; la famiglia di Francesco I di Michele Cammarano, in cui il re è ritratto con la seconda moglie Isabella di Spagna.
I capostipiti Filippo V ed Elisabetta Farnese sono ritratti in due dipinti attribuiti a Giovan Battista delle Piane, il Molinaretto. Un'intera sala è dedicata a Ferdinando IV e alla moglie Maria Carolina; un'altra è riservata al re Ferdinando II, soprannominato "il re bomba" in seguito all'eccidio di Palermo del maggio 1849. Qui si trovano anche i ritratti di Maria Cristina di Savoia, la "santa", figlia di Vittorio Emanuele I e prima moglie del re, che morì dando alla luce Francesco II, di Maria Teresa d'Austria, che egli sposò in seconde nozze, di Maria Sofia di Baviera, la sposa dell'ultimo re di una dinastia che vide la fine dopo 126 anni di regno.

La sala ellittica (presepe)
Nell'appartamento vecchio si trova una sala ellittica, dipinta in bianco e senza decorazioni, con in alto dei panchetti forse messi lì per i musici, dato che la sala era sicuramente destinata ai divertimenti della corte. Oggi essa ospita il presepe borbonico, restaurato di recente, dopo che la maggior parte dei pastori era stata trafugata. La tradizione presepiale napoletana si afferma in periodo borbonico con Carlo, ma soprattutto con il collezionista Francesco I. L'usanza di allestire il presepe per il Natale si affermò nella Reggia di Caserta come attività collettiva della corte: ad essa partecipavano non solo gli artisti e gli artigiani, ma tutte le dame di corte e le principesse, abilissime nel confezionare gli abiti per i pastori, ricche dame o mercanti georgiani vestiti all'orientale, con sete multicolori e gioielli in filigrana o coralli.
Alla realizzazione del presepe parteciparono artisti come Bottiglieri, Sanmartino, Mosca, Celebrano, Vassallo, Gori, i quali modellavano in terracotta le figure più importanti, mentre le altre avevano testa e membra di terracotta e l'anima di fil di ferro e stoppa. Le figure erano collocate su uno "scoglio" di sughero, secondo regole rigide e nel rispetto delle scene canoniche, quali la natività, l'annuncio ai pastori e l'osteria. Per realizzare il presepe ogni anno era eseguito un progetto, come descritto nelle tempere di Salvatore Fergola sulle pareti della sala; in esse è raffigurato l'ultimo presepe allestito dai sovrani, prima degli eventi infausti che portarono alla fine del regno borbonico, voluto da Ferdinando II che fece approntare la lunga "sala della racchetta" facendone dipingere tutte le pareti "ad imitazione di cielo". L'attuale allestimento si ispira a quell'ultimo presepe ottocentesco, che ben rappresenta la napoli cosmopolita della fine del Settecento.

Vestibolo e bagni
Nelle stanze della regina si avverte il cambiamento di stile avvenuto per l'intervento di Carlo Vanvitelli nella direzione dei lavori: incerto tra lo stile barocco e il classicismo che si andava affermando, egli li adotta entrambi. Basti pensare al rigore e al classicismo della biblioteca palatina, in contrapposizione al capolavoro d'arte rococò costituito dal bagno della regina. Qui si può notare l'importanza assunta dai luoghi da toletta, dalla cura e dalla civetteria con cui sono arredati: specchi veneziani, candele che si accendono ai lati delle specchiere, venere, Diana e le Grazie dipinte da fischetti su fondi bianchi, azzurri e rosa, putti modellati da Gennaro Fiore e, nella nicchia, la vasca marmorea scolpita da Salomone, alleggerita dal trompe l'oeil con il graticcio di pampini.
Le stanze della regina sono molto curate negli arredi; la stanza da lavoro presenta una decorazione di grande effetto, con le pareti di raso giallo incorniciate da specchi provenienti dalla Real Fabbrica di Castellammare; la seconda saletta, detta degli stucchi, ha pareti di specchi e stucchi a festoni bianchi e dorati. Per ammobiliarla furono inventate le sedie dette "à la duchesse", intagliate da Gennaro Fiore.

Biblioteca palatina
Le tre sale della biblioteca palatina fanno parte dell'appartamento della regina. La biblioteca fu voluta secondo la tradizione dalla regina Maria Carolina, donna di cultura e di gusto raffinato. Per la decorazione delle pareti fu chiamato a corte un artista tedesco, Heinrich Friederich Füger. Füger rappresentava il nuovo, il moderno, la pittura classicista in aperta contraddizione con le forme barocche della tradizione napoletana, perciò egli scelse temi desunti dal repertorio classico per decorare le pareti della biblioteca: il Parnaso con Apollo e le tre Grazie, l'Invidia e la Ricchezza, la scuola di Atene, la protezione delle arti e il discacciamento dell'Ignoranza.
I temi dell'iconografia sono divisi in quattro scene che ripercorrono la storia dell'umanità che celebra una nuova "età dell'oro" borbonica, tanto che alcuni, dato il legame di Maria Carolina con la massoneria, hanno voluto leggervi chiari riferimenti all'interpretazione del progresso umano nel pensiero massonico.
La decorazione dell'affresco a chiaroscuro della prima sala, eseguito su disegno di Carlo Vanvitelli, è "alla pompeiana", ispirata ai reperti degli scavi realizzati a Pompei ed Ercolano in quegli anni. Di gusto neoclassico sono anche le alte librerie realizzate a boiserie da maestranze locali come la particolare libreria girevole di mogano e palissandro, posta al centro della stanza e realizzata per rendere comoda la lettura alla regina. Nella sala di lettura, due dipinti a olio su tela, Carlo di borbone a caccia delle folaghe su Lago Patria di Vernet e inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici di S. Fergola. La biblioteca fu fondata nel 1768 e contiene circa 14000 volumi ed opuscoli nelle tre sale.

Cappella palatina
Alla cappella palatina si accede dal vestibolo superiore, senza entrare negli appartamenti reali. Più che un luogo di preghiera, essa sembra un grande salone di ricevimento, data la scarsa presenza di decorazioni pittoriche e la profusione di marmi pregiati. E' palese l'ispirazione alla cappella della Reggia di Versailles, che doveva avere colpito il gusto del re.
Ci si trova davanti ad una sala a galleria con colonnato che s'innalza su di un alto stilobate. La galleria superiore, dove trovavano posto gli alti dignitari e le dame di corte, presenta una balaustra di marmo di carrara e di dragoni, sui pilastri delle fiancate ha sedici colonne binate di ordine corinzio in marmo di Mondragone. Sulla parete d'ingresso è la tribuna reale con la parete di fondo decorata da semicolonne in giallo di castronuovo e svecchiature di marmo di Mondragone; ad essa si accede tramite una scala a chiocciola. Nell'abside era previsto un altare in stucco, mai realizzato secondo il progetto vanvitelliano, che prevedeva la presenza di un'urna antica di marmo decorata con pietre agata e bronzi dorati.
Nella curva absidale è posta una grande cona d'altare di Giuseppe Bonito raffigurante l'Immacolata Concezione, mentre ai due lati erano posti gli organi, che furono distrutti dal bombardamento del 24 settembre 1943, in cui si persero tutti i dipinti e gli arredi sacri.
La cappella palatina fu inaugurata nel Natale del 1784, durante la messa di mezzanotte celebrata alla presenza di Ferdinando IV e di tutta la corte.

Teatro di corte
Il teatro di corte è l'unica sala del palazzo portata a termine da Vanvitelli, anche se i lavori richiesero molto di più del tempo previsto, perché l'architetto era impegnato contemporaneamente nella costruzione della reggia, dell'acquedotto carolino e in altre opere a Milano e Benevento. Esso non era previsto nel progetto originario, per cui la sua costruzione fu iniziata nel 1756, tre anni dopo l'inizio dei lavori per l'edificazione della Reggia. Fu inaugurato solo nel 1769, in occasione del carnevale, alla presenza di Ferdinando e Maria Carolina. Il teatro è l'esatta riproduzione del San Carlo di Napoli, in proporzioni ridotte.
Posto nel lato occidentale del palazzo, ha tre ingressi: quello riservato al re ed alla corte immette direttamente nel palco reale, mentre quelli laterali erano riservati agli invitati e al pubblico e, attraverso due scale semicircolari, conducevano ai palchi. Il teatro offre un'immagine di grande eleganza ed equilibrio compositivo.
La pianta è quella classica a ferro di cavallo, come nello scalone reale, su di un alto stilobate a finto marmo si innalzano le colonne alabastrine di Gesualdo. Fra le colonne, 42 palchetti disposti su cinque ordini, tutti decorati da figure di putti e festoni di fiori, ma ognuno diverso dall'altro. Il palco reale occupa in altezza tre ordini di palchetti, è sormontato dalla corona sostenuta dalla fama che suona la tromba e da un ricco drappeggio di cartapesta, riportato all'originario colore azzurro dei borbone con gigli dorati dal recente restauro, dopo che in epoca Savoia era stato coperto da un rosso carminio.
Nella volta a spicchi, sostenuta da pilastri in breccia rossa d'Atripalda e dodici semicolonne di alabastro, il dipinto centrale raffigura Apollo che calpesta il pitone, a rappresentare il re Ferdinando che calpesta il vizio, eseguito da Crescenzo la Gamba, come gli affreschi negli spicchi della volta raffiguranti le nove muse e quelli dei medaglioni con i quattro elementi. La balaustra dorata del secondo ordine di palchi circonda l'intera sala. Il palcoscenico presenta la caratteristica di poter creare un effetto scenico naturale aprendo sul fondo della scena un portone che dà direttamente sul palco. L'apertura fu creata nel 1770, per la rappresentazione della "Didone" del Metastasio con la compagnia del San Carlo, per creare l'effetto realistico dell'incendio nell'ultima scena. La realizzazione del portale smontabile si deve a Collecini. Resta, a testimonianza del passato splendore, il grande fondale presente nel teatro, con la figura dell'Ercole Farnese all'interno di uno splendido giardino.

Il Museo dell'Opera e del Territorio
Il museo dell'Opera e del Territorio, allestito nei sotterranei della Reggia opportunamente adeguati alle esigenze espositive nel più assoluto rispetto delle strutture originali, raccoglie una serie di oggetti che documentano ed illustrano l'opera vanvitelliana, l'area casertana di cui il palazzo costituisce la maggiore emergenza, la vita della corte borbonica tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, ed una serie di opere d'arte custodite per decenni nei depositi delle Soprintendenze campane, ora restituite al pubblico nella esposizione delle sale del museo del territorio.


IL PARCO

Il parco è articolato in tre aree: la prima, sita dietro al palazzo, è destinata al parterre, diventato un semplice prato verde inciso dai bianchi viali rettilinei, e comprende a sinistra il " bosco vecchio", così chiamato perché preesistente alla costruzione della Reggia, a destra le praterie circondate da spalliere erboree. La seconda sale fino ai piedi della cascata dove si alza il Colle di Briano coperto di boscaglie. Elemento essenziale del parco sono i giochi d'acqua che scaturiscono dalle fontane realizzate sotto la direzione di Carlo Vanvitelli. La terza area, che non faceva parte del progetto iniziale, è costituita dal giardino inglese.
Nelle intenzioni di Vanvitelli, il parco della Reggia di Caserta doveva avere la stessa imponenza del palazzo. L'architetto aveva studiato i progetti dei colleghi olandesi, tedeschi e francesi, e ben conosceva i parchi e i giardini di Versailles, Fontenbleau e delle Tuileries: progettò dunque un viale, che dalla Reggia alla cascata misurava tre chilometri, fiancheggiato da lecci, con vaste praterie circondate da boschetti, parterre e piante di varie essenze che disegnavano aiuole squadrate e specchi d'acqua. ragioni economiche ridimensionarono l'idea di partenza, per cui il giardino all'italiana divenne un parco diviso in due parti.

Il giardino inglese
Secondo la tradizione, il giardino inglese nacque per volontà della regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV, che sicuramente lo finanziò con il suo patrimonio personale. Sembra che in realtà fosse lord Hamilton, "inviato straordinario di sua maestà britannica" alla corte napoletana, a suggerire alla regina la realizzazione del giardino, facendo leva sulla rivalità con la sorella Maria Antonietta, regina di Francia, che ne aveva voluto uno al petit trianon di Versailles.
La regina chiamò dall'Inghilterra il botanico Andrew Graefer, uno dei più famosi giardinieri del regno.
Il luogo scelto per impiantare il giardino era sito in prossimità della grande cascata, dove il terreno digradante verso mezzogiorno si prestava ai disegni più capricciosi e alla coltivazione delle specie più esotiche, che sarebbero state aggiunte nel tempo.
Il giardino offre una serie di luoghi suggestivi, densi di richiami ai modelli del tempo: il criptoportico, con le statue provenienti dagli scavi di pompei e dalla collezione Farnese, il piccolo laghetto del bagno di Venere, con le finte rovine pompeiane, il "casino all'inglese" che fu l'abitazione di Graefer e, infine, l'aperia, un'area utilizzata come serbatoio d'acqua da Vanvitelli, poi usata per l'allevamento delle api ed infine trasformata in serra nel 1826.

Il casino e le serre
Il casino destinato a Graefer come abitazione è un fabbricato composto di un pianterreno e un piano superiore, che si presenta prospetticamente come un grande basamento su cui poggia un ordine dorico di pilastri, e cornicione corrispondente, abbellito da medaglioni. Il pianterreno è composto da undici stanze abitabili, alle quali si accede per mezzo di un vano arcato esposto a mezzogiorno. Il piano superiore ha sei stanze sul davanti, e altrettante sul retro con esposizione a settentrione. Vi sono, inoltre, un sottotetto ed un locale destinato alla conservazione dei semi e degli attrezzi. Graefer effettuava continue escursioni in Campania, a Capri, sul litorale salernitano e a Palermo per rifornirsi di piante per il giardino: quelle che non erano messe a dimora erano custodite nelle quattro serre, site vicino al casino. Di queste, solo una aveva il soffitto di vetro ed era riscaldata con aria caldo-umida, mentre le altre tre erano preesistenti, tutte in muratura.
Presso le serre è l'acquario, un'ampia vasca circolare divisa per metà in quadratelli a fabbrica, ognuno destinato a contenere una pianta acquatica. Nelle vicinanze, un rosaio con numerose varietà di rose, e la scuola botanica. Mantenendo i contatti con i botanici inglesi, Graefer riuscì a procurarsi esemplari provenienti dall'Australia, dalla Cina e dal Giappone: si spiega così la presenza della camelia japonica e d'altre rarità nel giardino di Caserta. Botanico più che giardiniere, Graefer creava ibridi, raccoglieva piante esotiche e sementi che avrebbero reso il suo giardino un orto botanico. Nel 1826 fu trasformata in serra con emiciclo neoclassico l'area dell'aperia, che il recente restauro ha suggerito di utilizzare come "teatro di verzura".

Il laghetto e le finte rovine
Il laghetto delle ninfee si allarga al centro fino a contenere due isole, ricche di vegetazione, rappresentazione romantica del gusto ottocentesco: la più grande ha un tempietto in rovina, con colonne di granito e di dolomite, tolte dagli scavi di Pompei; la più piccola ha una sorta di padiglione destinato al ricovero d'anatre, cigni ed altri uccelli acquatici che vivono nel lago.

Il criptoportico
Luogo ricco di suggestioni romantiche, il criptoportico è un finto ninfeo circolare con le pareti di tufo in cui si aprono dei nicchioni decorati di stucco e opus reticolatum romano, contenenti undici statue provenienti da Pompei e dalla collezione Farnese, delle quali alcune si trovavano sul posto anteriormente al 1792. Il pavimento è di marmi colorati a tassello, la volta in due punti è scoperta mentre il muro presenta finti crepacci e rotture. Dalle radici di un grande tasso secolare, piantato sul posto da Graefer, sgorga l'acqua che alimenta un laghetto, il bagno di Venere, dove la dea emergente dalle acque è ritratta in una statua "all'antica", scolpita da Tommaso Solari nel 1762 e posta su uno degli scogli che dividono l'acqua in mille rivoli, fino a formare presso un ponte una piccola cascata, poi un fiume e un salto d'acqua da cui ha origine un lago. In questa zona la vegetazione è costituita di piante che richiedono fresco e penombra, come le felci.

L'aperia
Nella parte settentrionale del giardino è situata una delle sue strutture più spettacolari, nata dall'adattamento dell'ampia vasca di una cisterna fuori uso, costruita da Luigi Vanvitelli parecchi anni prima dell'arrivo di Graefer. Il serbatoio, sostenuto da solidissimi piloni, era situato sulla sommità di una collinetta boscosa e doveva servire nel caso di un guasto all'acquedotto carolino; esso non fu mai adoperato, ed in epoca francese divenne luogo di allevamento delle api per la produzione di miele (di qui il nome "aperia"). Nel 1826, durante il regno di Francesco II, fu adibito "ad uso di flora", vale a dire di serra, per la coltivazione di piante arboree. Vi fu perciò collocata la statua di Flora o Cerere, opera realizzata da Tommaso Solari nel 1761 e per la quale l'artista fu pagato da Luigi Vanvitelli. In questa parte il giardino è a parterre con fiori; in passato era diviso in cinque grandi appezzamenti di terra, chiamati scolle, per la coltivazione di alberi di piccolo e gran fusto.

Le piante
Il giardino inglese della Reggia di Caserta è assurto alle dimensioni e alla qualità di un vero orto botanico, ricco com'è di piante e fiori che rappresentavano una vera rarità all'epoca in cui furono impiantate. Qui le specie più esotiche hanno trovato una collocazione ed un clima ideali, che hanno favorito una crescita rigogliosa già nel giro di pochi anni, ma che oggi si offrono in tutta la loro bellezza di esseri viventi integrati perfettamente nel luogo di crescita. Eucalipti, pini, tassi, lauri, cipressi e gingko biloba, magnolie, platani, querce e acacie sono tra gli alberi che fanno da sfondo, che delimitano i viali e arricchiscono gli isolotti. Felci, ninfee e cespugli crescono rigogliosi nelle acque dei laghetti e delle fontane. camelie, strelitzie, peonie, mortelle, convolvoli, ginestre e rose trovano posto nelle scolle di terra coltivate. Infine, nel giardino vi sono bellissimi esemplari di palme coltivate su di una collinetta esposta a mezzogiorno, e piante grasse e cactacee, che crescono e vegetano presso un peristilio di foggia antica, mezzo caduto ad arte, con colonne e ruderi dell'antichità trasportati da Ercolano.


(tratto da Guida alla Reggia e al Parco Reale di Caserta)

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