Le origini
La nascita di Padula risale al IX-X secolo quando, cessate le incursioni saracene, la popolazione precedentemente rifugiatasi nelle alture preferì insediarsi ai piedi della collina, in prossimità della via consolare, dove ancora sorge il centro abitato.
Alla fondazione del sito della Certosa contribuirono i monaci Basiliani, come testimoniano la Chiesa di San Nicola alle Donne e i ruderi dell'antico Monastero di San Nicola al Torone.
Nel 1296 Tommaso II Sanseverino, conte di Marsico e signore del Vallo di Diano, entrò in possesso della città; in particolare, destò la sua attenzione il sito in cui sorgeva la Grancia di San Lorenzo dell'abate di Montevergine. Nel 1305 ottenne, per permuta con l'abate Guglielmo, tutti i beni della Grancia e li donò ai Certosini di San Brunone. L'atto stipulato il 28 gennaio 1306 determina la nascita del primo nucleo della Certosa, che nel corso dei secoli perverrà alle grandiose proporzioni odierne.
L'ordine certosino, fondato da San Brunone con casa gentilizia a Grenoble, era sostenuto dagli Angioini, che favorirono anche, successivamente a quella di Padula, la nascita di altre Certose in Italia meridionale: quella di San Martino a Napoli e quelle di Capri e Chiaromonte.
La Certosa nella storia
Nel periodo risorgimentale, la regione circostante la Certosa, che pure diede i natali a molti spiriti liberali, ha conosciuto la tragica fine dei trecento seguaci di Carlo Pisacane.
Della primitiva struttura della Certosa restano solo pochi elementi. Le trasformazioni più rilevanti risalgono alla metà del Cinquecento, dopo il Concilio di Trento: tra queste, il chiostro della foresteria e la facciata principale, arricchite nel Settecento da sculture e decorazioni del Vaccaro, nonché la torre degli Armigeri. Secenteschi sono gli interventi di doratura degli stucchi della chiesa, opera del converso Francesco Cataldi. Sempre del Settecento sono gli affreschi e le trasformazioni d'uso di ambienti esistenti.
I Certosini lasciarono Padula nel 1807, durante il decennio francese del Regno di Napoli, allorché furono privati dei loro possedimenti nel Vallo, nel Cilento, nella Basilicata e nella Calabria. Le ricche suppellettili e tutto il patrimonio artistico e librario andarono quasi interamente dispersi e il monumento conobbe uno stato di precarietà e abbandono. I locali esterni furono dati in uso a privati, così come parte del "desertum", l'area agricola "di isolamento" che circondava la Certosa. Fu campo di concentramento nelle due guerre mondiali, come testimoniano le scritte nella corte esterna e le pitture sulle pareti al piano terra dello scalone.Sebbene fosse stato dichiarato monumento nazionale fin dal 1882, la Certosa è stata presa in consegna dalla Soprintendenza per i Beni architettonici di Salerno e solo dal 1982 sono cominciati i lavori di restauro di un complesso architettonico tra i più significativi del Settecento nell'Italia meridionale.
Architettura e arte della Certosa
Intorno alla corte esterna si svolgeva gran parte delle attività produttive. A sinistra c'era la spezieria, l'abitazione dello speziale e la foresteria (riservata, solo in casi eccezionali, a religiosi e nobili illustri); nel braccio destro si trovavano gli alloggi dei monaci conversi. Era questa la "casa bassa" che rappresentava il trait d'union tra la Certosa e il mondo esterno.
Nella Chiesa (divisa trasversalmente da una parete: la parte in prossimità del presbiterio era riservata ai padri di clausura, che vi pervenivano attraverso un passaggio interno) i monaci si ritrovavano una volta di notte e due di giorno: interessanti gli altari in scagliola (un tipo di gesso), il coro ligneo cinquecentesco e la porta in legno datata al 1374.
Il piccolo Cimitero antico cadde in disuso quando i padri decisero di farne costruire uno nuovo nel Chiostro grande. Nella Cappella del Fondatore è il sarcofago cinquecentesco di Tommaso Sanseverino (morto nel 1324).
La cucina deriva forse da un refettorio riadattato, poiché vi è stato rinvenuto, sotto una compatta scialbatura (imbiancatura data con una mano di calce spenta) un affresco del Seicento con la Deposizione, e un Cristo circondato da monaci certosini (il tema delle pitture è, con ogni evidenza, poco idoneo a una cucina).
Nel refettorio, dove vigeva la regola del silenzio, si consumava il pasto comune nei giorni festivi e durante la Quaresima. È una sala settecentesca rettangolare decorata, sulla parete di fondo, con un dipinto a olio su muro del 1749, di Giuseppe D'Elia, raffigurante le Nozze di Cana.
Alla Cella del priore (appartamento residenziale di ben dieci stanze, con in più vari locali di servizio, l'archivio, l'accesso diretto alla biblioteca, un bel giardino con loggia affrescata e la cappella privata) si arriva dopo aver attraversato un portone che separa la zona delle celle dei padri da tutti gli ambienti finora descritti. Alla Cella del priore era annessa una grande biblioteca che custodiva decine di migliaia tra libri, codici miniati, manoscritti, dei quali solo una piccolissima parte, circa duemila volumi, si conserva ancora oggi nella Certosa.
Notevolissime sono le proporzioni del Chiostro grande, che con i suoi quasi quindicimila metri quadrati di superficie, è uno tra i maggiori in Europa. Costruito a partire dal 1583, si sviluppa su due livelli: in basso, il portico con le celle dei padri; in alto, la galleria finestrata utilizzata per la passeggiata settimanale. Durante questa "uscita" la clausura veniva interrotta e i padri potevano comunicare e pregare insieme.
Uno scalone ellittico a doppia rampa, con otto grandi finestroni, unisce i due livelli del Chiostro grande: firmato da Gaetano Barba (allievo del Vanvitelli), dà accesso alla passeggiata coperta, nei cui quattro bracci sono esposte le opere d'arte restaurate nei laboratori della Certosa, provenienti principalmente dai paesi terremotati del Salernitano e dell'Irpinia.
L'aspetto attuale del Parco, attraversato da un sistema di viali ortogonali, per la deambulazione dei monaci nella preghiera, non corrisponde che in minima parte alla sistemazione settecentesca.
(fonte: Il portale dei Beni e delle Attività Culturali della Regione Campania)