Sino a inizio Novecento, nel Golfo triestino la pesca del pesce azzurro si praticava essenzialmente con reti d'incetto (sardellere) e alla deriva, mentre nella vicina costa croata il pesce veniva attirato da fonti luminose poste su una piccola imbarcazione in una zona confinata (peschiera), poi delimitata dalle reti di barche più grandi. Un metodo produttivo ma costoso, almeno fino a quando, dopo la prima guerra mondiale, i pescatori napoletani trapiantati a Trieste iniziarono a utilizzare lampade alogene per attrarre il pesce non più verso la costa ma a largo. L'esodo istriano del secondo dopoguerra rinfoltì le schiere di barche e pescatori e la disponibilità di pesce azzurro crebbe tanto da rendere necessaria la ricerca di nuovi mercati e lo sviluppo di metodi di conservazione e inscatolamento. Da allora la pesca con le lampare si è ulteriormente sviluppata, con innovazioni tecnologiche che hanno portato alla protezione e direzionabilità delle lampade, al potenziamento dei generatori luminosi, all'introduzione di strumentazioni elettroniche e nuovi materiali per la costruzione delle reti.
Curiosità
Le Saccaleve, barche triestine utilizzate come lampare, escono al largo al tramonto, accompagnate dal caiccio, una piccola imbarcazione ausiliaria. Dotate di un motore di propulsione con potenza tra gli 80 e i 250 cv, non superano i 16 metri di lunghezza. Il loro utilizzo è possibile date la limitata estensione dell'area di pesca, la bassa profondità media dei fondali e la breve durata dell'azione di pesca (in genere 8 ore al massimo).