Il terremoto dell'11 gennaio 1693 fu uno degli eventi catastrofici più gravi accaduti in Italia in epoca storica. La scossa - alla quale oggi gli esperti assegnano un'intensità pari all'undicesimo grado della scala Mercalli - distrusse un'area di centinaia di chilometri quadrati: praticamente tutta la Sicilia sud-orientale. Eppure, nonostante morte e desolazione, mai come in questo caso si può dire che non tutti i mali vengono per nuocere: dalla ricostruzione, che fu intrapresa con eroico fervore, sorse quel che oggi viene definito "Barocco del Val di Noto", un patrimonio inestimabile di arte e architettura che l'UNESCO ha inserito nel 2001 nell'ambìto elenco dei Beni dell'Umanità. I centri urbani selezionati a comporre questo tesoro sono otto: Catania e, nella sua provincia, Caltagirone e Militello Val di Catania; Ragusa con Modica e Scicli; Palazzolo Acreide e Noto, nella provincia di Siracusa. Catania non sarà la più bella città siciliana, ma di certo ha un suo fasto, oltre a un ambiente di grande vivacità, riscoperto con gioia da giovani, artisti e personaggi della cultura. Qui si ammirano l'infilata di chiese e conventi della via dei Crociferi, l'elefantiaca chiesa di San Nicola e le raffinate quinte di piazza Duomo, con il palazzo del Municipio, il seminario e le fontane dell'Elefante e dell'Amenano a far da cornice all'edificio sacro, intitolato all'amata patrona Sant'Agata, e il sontuoso convento dei Benedettini, che nulla ha da invidiare a un castello reale. I Benedettini, peraltro, furono fra i protagonisti della ricostruzione, come si vede anche a Militello Val di Catania, cittadina che, a dispetto delle dimensioni contenute, vanta una quantità di edifici barocchi di pregio: dal convento dei monaci, appunto, che riprende l'omologa struttura catanese, con l'annessa chiesa di San Benedetto, ai palazzi della nobiltà - fra cui il Baldanza-Denaro e il Liggieri - passando per una quantità di edifici sacri, come la Chiesa Madre, quella della Madonna della Catena e il Santuario di Santa Maria La Stella. Sempre in provincia di Catania troviamo Caltagirone, ben nota per la produzione di ceramica fin dalla notte dei tempi. La qualità della produzione si può osservare un po' dappertutto, nella villa comunale come sulle alzate della monumentale scalinata di Santa Maria del Monte, che dal 1608 collega la parte bassa e quella alta della cittadina. Si tratta di una delle attrazioni più note di Caltagirone, protagonista anche di numerose manifestazioni, come l'Infiorata, in maggio, e l'illuminazione notturna con lucerne colorate in luglio. Ai suoi piedi si trova la chiesa barocca di San Giuseppe, ma sono da vedere anche la bella San Giacomo con l'originale campanile sulla cima del quale siedono i Quattro Evangelisti, Santa Chiara e il SS. Salvatore. L'altro capoluogo, Ragusa, oltre a una profusione di chiese - fra cui spicca il bellissimo duomo di San Giorgio, all'estremità della piazza bislunga nel cuore del quartiere di Ibla - ha anche una quantità non indifferente di palazzi nobiliari. Con curiosa armonia, i nuovi edifici barocchi voluti dall'aristocrazia locale, andarono a innestarsi su un tessuto viario ancora spiccatamente medievale, creando quell'autentico gioiello che è Ibla. Una passeggiata naso in sù svelerà al visitatore decorazioni di straripante fastosità, ad esempio sui palazzi Cosentini e La Rocca. Poco lontano da Ragusa, incontriamo l'incantevole Modica, città di antichissima storia e prestigio, a capo di una contea che un tempo era considerata un regno nel regno per la ricchezza e influenza del suo signore. Qui il monumento più famoso è senz'altro la grande chiesa di San Giorgio, con la lunghissima scalinata di duecentocinquanta gradini a precedere una facciata altissima, quasi volesse sfidare il cielo. San Giorgio è una fra le opere barocche più belle dell'Italia meridionale, ma non esaurisce il patrimonio di splendidi edifici sacri della cittadina, che vanta altresì la bella San Pietro, la chiesa intitolata a Santa Maria di Betlem (al cui interno si trova la magnifica cappella cinquecentesca del Sacramento), San Nicolò inferiore. Oltre alla casa natale di Salvatore Quasimodo, al quale è intitolato un parco letterario. Una stradina stretta scende da qui verso Scicli , concedendosi, al termine di un rettilineo scandito dai muretti a secco tipici della campagna iblea, ampie curve fino all'abitato. Se si arriva di sera, le case, le chiese e i palazzi appaiono illuminati da calda luce dorata, uno spettacolo suggestivo che prelude a quello delle tante decorazioni in pietra sugli edifici. Fiori, intagli, geometrie, ma anche rappresentazioni grottesche, come le due teste di moro che sorreggono lo stemma dei padroni di casa su un cantonale di Palazzo Beneventano, uno dei più belli. Senza dimenticare Palazzo Fava, la lunga teoria di chiese e palazzi di via Mormino Penna, la chiesa e il convento dei Carmelitani. Chiese e conventi sono massimamente rappresentati a Noto, da sempre considerata "capitale" del barocco. Si va dal monastero del Salvatore al duomo, edificio elegantissimo quanto imponente che, finalmente, dopo laboriosi restauri riaprirà i battenti a fedeli e visitatori nella primavera del 2006. Dalla chiesa di San Domenico, una delle più importanti, la facciata incorniciata dalle palme di un raccolto giardino, a quella di San Carlo. Passando per Palazzo Ducezio, sede del Comune, e per Palazzo Villadorata, una dimora antica e bellissima, dalla lunga facciata ornata di balconi sorretti da mensole di pietra decorata che domina un'intera strada, e fa da quinta, in maggio, all'allestimento di una scenografica infiorata. Palazzolo Acreide è l'ultima tappa - ma di certo non la meno importante - del nostro itinerario. Qui i palazzi sono numerosi e riccamente ornati: fra gli altri, la dimora del barone Gabriele Judica, che si ridusse sul lastrico per portare alla luce i resti dell'antica Akrai, e i palazzi Zacco e Ferla. E sono bellissime le chiese: quella intitolata a San Sebastiano, sulla piazza del Municipio, e quella del santo rivale Paolo, entrambi incantevoli edifici barocchi, e l'Annunziata, il portale maestoso di colonne tortili su cui s'attorcigliano turgidi tralci benaugurali.
(fonte: Sicilian World Heritage)