Superba collezione cardinalizia seicentesca giunta a noi sostanzialmente integra e anzi arricchita dalle storiche addizioni di fine '700.
Minata da gravi problemi di stabilità e ritenuta a lungo a rischio di crollo a causa di un diffuso dissesto idro-geologico che ha interessato tutta la zona, la palazzina ha subito infatti una prolungata chiusura che ha privato per anni romani e turisti di uno dei gioielli museali più ricchi e raffinati di cui dispone la capitale.
Tipico esempio di villa delle delizie di rinascimentale memoria, la splendida residenza suburbana sita fuori Porta Pinciana è uno dei pochi esempi superstiti di quella cinta di dimore patrizie spazzate via dal boom edilizio successivo all'annessione di Roma al Regno d'Italia: fortunosamente scampata ad una delle tipiche speculazioni dell'epoca, fu acquisita dallo Stato Italiano nel 1902 nel suo complesso costituito da palazzina, collezioni e parco, quest'ultimo ceduto l'anno successivo al Comune di Roma.
Il nucleo originario della villa risale ai primi anni del XVII secolo quando Scipione Borghese, spregiudicato mecenate e collezionista, divenuto cardinal nipote del pontefice Paolo V e dunque beneficiario di cospicue rendite, decise di trasformare un'antica, anonima vigna
cinquecentesca nella prestigiosa sede fuori porta del casato, luogo di piaceri letterari e campestri allietato da una sconfinata collezione di marmi antichi e opere d'arte dei più affermati e promettenti artisti allora sulla piazza romana. Il risultato fu un edificio a firma degli architetti Flaminio Ponzio e Vasanzio, realizzato tra il 1613 ed il 1615 con pianta a U sul modello della cinquecentesca Villa Farnesina alla Lungara, con una facciata completamente incrostata di bassorilievi e statue antiche e un interno complessivamente molto sobrio, inteso come sfondo neutro su cui stagliare la superba collezione d'arte messa insieme con mezzi non sempre leciti.
Prelievi forzati compiuti nottetempo (come nel caso della celebre Deposizione Baglioni di Raffaello), dipinti estorti addirittura comminando il carcere (come toccò al Domenichino) o prelevando generosamente nelle casse della Camera Apostolica, fecero confluire nella dimora opere di eccezionale valore che abbagliano ancor oggi con la loro bellezza i visitatori moderni.
Raffaello, Perugino, Dosso Dossi, Beccafumi, Sodoma, Lotto, Bronzino, Niccolò dell'Abate, Parmigianino tra i più antichi, Reni, Guercino, Domenichino e Albani e Algardi tra i contemporanei furono il consistente bottino delle spregiudicate operazioni di Scipione il cui colpo magistrale fu però la raccolta di alcuni dei capolavori assoluti dell'arte del '600 realizzati da Michelangelo Merisi da Caravaggio e dal suo protetto GianLorenzo Bernini, scultore che appare rappresentato in Galleria da opere che ne ripercorrono l'intera parabola artistica, dalle prove giovanili rappresentate dalla Capra Amaltea, dall'Ermafrodito, dall'Enea e Anchise, dal David, dall'Apollo e Dafne e dal Ratto di Proserpina a quelle della maturità quali i busti-ritratto di Paolo V e Scipione Borghese e il gruppo della Verità disvelata dal Tempo.
Straordinaria anche la concentrazione di autografi di mano del Caravaggio che consente di ammirare, in illuminante accostamento, opere giovanili del calibro del Bacchinomalato e del Ragazzo con il canestro di frutta e prove della maturità, quali la Madonna dei Palafrenieri, il San Girolamo e il San Giovanni Battista; particolarmente suggestivo in merito alle note vicende biografiche il David con la testa di Golia, nella cui testa mozza è universalmente riconosciuto l'ultimo drammatico autoritratto dell'artista prima della prematura morte.
La fisionomia austera ma ornatissima della villa di Scipione, la cui unica concessione decorativa fu l'affrescatura della loggia sul retro dipinta dal Lanfranco nel 1624, fu completamente stravolta alla fine del '700 quando Marcantonio Borghese diede il via ad un rinnovamento complessivo che fece della palazzina seicentesca un vero e proprio laboratorio dell'incipiente gusto neoclassico; una schiera tra i più affermati artisti e artigiani dell'epoca profuse con generosità in ogni ambiente della palazzina una ricca decorazione plastico-pittorica di estrema raffinatezza che trova il suo risultato più alto nella volta affrescata del salone d'ingresso, dove con una complessa allegoria storica si celebra in chiave augurale la nascita del primogenito di Marcantonio. Si deve a questa fase la creazione di quel sottile gioco di rispondenze tematiche tra opere e affreschi che rende così equilibrato e unico il rapporto contenitore/contenuto che governa la Galleria Borghese.
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