Nei pressi di Marsala, presso l'estrema punta nord-occidentale della Sicilia, il mare forma una laguna (comunemente detta lo Stagnone di Marsala), la cui profondità delle acque varia da 50cm a 2 metri. Qui, tra l'Isola Grande e la terraferma, sull'isola di San Pantaleo si sviluppò Mozia (o Mothia), una fiorente colonia fenicia fondata nell'VIII secolo a.C.; scalo commerciale e punto di passaggio obbligato per le navi dirette in Spagna, Italia Centrale, Africa e Sardegna, divenne ben presto una delle più ricche colonie fenicie del Mediterraneo. Distrutta nel 397 a.C. da Dionisio di Siracusa, l'anno successivo l'isola fu ripresa dai Cartaginesi, ma la sua stella era ormai in declino, in concomitanza con la fondazione sulla terraferma di Lilibeo (l'odierna Marsala), ad opera dei superstiti di Mozia.
I resti della sua civiltà e della sua storia furono riportati alla luce grazie ad una campagna di scavi guidata dall'inglese Giuseppe Whitaker, archeologo inglese erede di una famiglia che aveva fatto fortuna in Sicilia col commercio del marsala, che acquistò l'isola nel 1902.
Con la collaborazione del colonnello Giuseppe Lipari Cascio, furono scoperti ampi tratti di mura, le porte urbiche e la maggior parte dei monumenti, dal Kothon al Santuario del Cappiddazzu, al Tofet. Negli anni '60 del Novecento si registra un nuovo impulso alle ricerche archeologiche, grazie anche al contributo dell'Università di Roma "La Sapienza" e della Soprintendenza alla Sicilia Occidentale. Un lungo lavoro di indagini sistematiche che culminarono con il ritrovamento, nel 1979, della famosa statua del "Giovane di Mozia".
Presso il Museo Whitaker sono esposti reperti di epoca preistorica, materiali rinvenuti nell'abitato, arredi funerari provenienti dal Tofet, ceramiche, monete e steli votive. Interessante è anche il plastico dell'isola di Mothia. Ma il pezzo di maggior rilievo è senza dubbio la statua in marmo bianco dell'Anatolia, raffigurante il Giovane di Mothia. Portata sull'isola probabilmente dai cartaginesi, dopo aver depredato Selinunte (409 a.C.), rappresenta un giovane di alto rango (deducibile dalla tunica e dalla capigliatura ben curata), privo degli arti superiori, forse alla guida di un cocchio o nell'atto di brandire un frustino. L'opera risalirebbe al V secolo a.C. ed è di pregevolissima fattura, armoniosa nelle proporzioni, con evidenti influenze greche ed un senso plastico non comune.
Sono visitabili:
- i resti delle fortificazioni, risalenti al IV secolo a.C. ed ampliate nei secoli successivi, con tanto di torri di avvistamento;
- Porta Nord, la meglio conservata delle due porte di accesso alla città. Sono ancora visibili i resti delle due torri che la fiancheggiavano e la strada lastricata con i segni delle ruote lasciate dai carri.
- Porta Sud, subito dopo il porto, anch'essa fiancheggiata da due torri;
- la strada lastricata che congiunge Mozia alla terraferma, in località Birgi, attualmente situata sotto il pelo dell'acqua. Lunga 7Km, il tracciato è evidenziato dai cippi che emergono dall'acqua.
- il Santuario di Cappiddazzu, situato alle spalle della Porta Nord, comprende tutta una serie di edifici di varie epoche. Il ritrovamento di alcuni altari lascia pensare ad un luogo sacro dove lasciare offerte agli dei.
- la necropoli arcaica, con pietre tombali ed urne per l'incinerazione;
- il Tofet, un santuario a cielo aperto dove venivano deposti i vasi contenenti resti di sacrifici umani. Una pratica molto diffusa era l'immolazione del primogenito maschio.
- il Cothon, un piccolo bacino di carenaggio, di forma rettangolare;
- la Casermetta, piccola costruzione militare;
- la Casa dei Mosaici, così detta per i resti di un mosaico in ciottoli bianchi e neri, raffigurante un grifo che attacca una cerva ed un leone che assale un toro;
- la Casa delle Anfore, per il gran numero di anfore ivi ritrovate.