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La Valle dei Templi di Agrigento

La riscoperta di Akragas fu avviata verso la fine del Settecento, quando giunsero i primi viaggiatori europei che, proprio in quel periodo, si avventuravano in Sicilia scoprendovi un'inaspettata quanto immensa ricchezza artistica ed archeologica, in barba a chi, come i compilatori dell'Enciclopedia, sostenevano non vi fosse nell'Isola alcunché d'interessante, a parte la scellerata attività dell'Inquisizione.
Ciò che i viaggiatori osservarono più di due secoli fa si offre ancora adesso agli occhi dei visitatori e le descrizioni sono per molti versi attuali: i templi, oggi come allora, si allineano sulla cresta di una collina e sono il più evidente simbolo di una città, un tempo fra le più potenti del mondo, la cui ricchezza e bellezza era decantata dai più grandi poeti del V secolo a.C.. Fu quello, infatti, il periodo di massimo splendore per Akragas, fondata nel 528 a.C. da coloni di Gela e divenuta, nel breve volgere di un secolo, una fra le più importanti città del Mediterraneo, culla di arti e scienze, una città i cui i cittadini, secondo una felice definizione del filosofo Empedocle, vivevano come se avessero dovuto morire l'indomani, e costruivano come se avessero dovuto vivere in eterno.
Di questo fervore costruttivo, i templi, innalzati tra il VI ed il V secolo a.C., sono l'espressione monumentale più evidente, non residuando purtroppo granché della città greca, distrutta dai Cartaginesi nel 406 a.C. Agrigento, pur vivendo altri momenti di effimero splendore, non ritornò mai più agli antichi fasti e s'avviò pian piano a divenire una cittadina di provincia come tante.
Se non fosse, appunto, per i templi che offrono uno straordinario colpo d'occhio, incantando ogni visitatore specie al tramonto, quando il sole calante sembra incendiarli, e davvero basta poco per tornare, con la fantasia, alla splendida città cantata da Pindaro.
Inseriti nell'elenco dei Beni dell'Umanità dell'UNESCO nel 1997, essi si dispongono a valle dell'odierno abitato che ricalca l'insediamento medievale, costituendo una passeggiata archeologica straordinaria.
A destra della Porta Aurea, che portava a sud e verso il mare, un sentiero conduce alle imponenti rovine del Tempio di Zeus Olimpico che (insieme al tempio G di Selinunte), era il più imponente dell'Occidente (la superficie occupa quasi 7000 mq, più della basilica romana di San Pietro). La sua costruzione fu intrapresa nel 480 a.C. e si caratterizzava per la presenza dei Telamoni, immani statue alte circa otto metri, che simboleggiavano la forza della natura sottomessa a Zeus. Posti tra le colonne a sorreggere la trabeazione, sono andati tutti distrutti tranne uno, custodito nel museo archeologico di Agrigento (fra le rovine giace un calco).
Rovinato per via dell'abbandono, delle intemperie, dei terremoti, nel Settecento il tempio divenne una sorta di cava di pietra: le maestranze agrigentine si servirono dei giganteschi blocchi di tufo per la costruzione, fra l'altro, di un molo a Porto Empedocle.
Presso il tempio sorgeva una gigantesca ara per i sacrifici, sulla quale potevano essere immolati fino a cento buoi in una volta sola, e con posto sufficiente perché potessero assistervi duemila fedeli.
Intorno al tempio di Zeus si estende un'ampia area sacra, sorta nel VI secolo a.C. e affollata di edifici di culto ma anche di abitazioni private e botteghe. Qui i templi veri e propri sono quattro, ma l'unico immediatamente riconoscibile dal profano è quello detto di Castore e Polluce, di cui residuano quattro colonne angolari, risollevate nel 1836, un insieme molto pittoresco, tanto che proprio questo tempio è utilizzato come simbolo di Agrigento (480 - 460 a.C).
A nord di questo edificio sacro è stata identificata, in una depressione, la Kolymbetra, una piscina che con le sue acque consentiva di irrigare il giardino più fertile della valle. La zona, affidata al Fondo per l'Ambiente Italiano nel 2001, è stata restaurata dal punto di vista vegetazionale e dotata di pannelli esplicativi.
In direzione opposta, sul crinale di una bassa collina, si allineano tre templi. Il primo è quello di Ercole, che si presume sia il più antico (VI sec. a.C.) con nove colonne in piedi, su alcune delle quali è scarsamente visibile l'intonaco purpureo con il quale il tempio era stato dipinto. Più oltre si eleva in tutta la sua bellezza il Tempio della Concordia, uno dei più perfetti dal punto di vista stilistico dell'intero mondo greco, "inesprimibilmente bello e pittoresco" (F. Münther). Il tempio, che è il meglio conservato del mondo greco insieme al Theseion di Atene e al Posidonion di Paestum, deve la propria integrità a una fortunata circostanza: a differenza degli altri templi pagani più o meno demoliti dai cristiani, questo fu convertito in chiesa nel VI secolo. La struttura così rimase intatta e nel 1748 il tempio, che era stato costruito nel V secolo a.C. in forme squisitamente doriche, fu restaurato nel suo aspetto originale (a parte alcuni archi nei muri della cella).
La via dei templi (fiancheggiata da ipogei cristiano-bizantini) giunge al Tempio di Hera Lacinia o di Giunone, all'estremità del crinale, in posizione suggestiva. Le sue forme sono uguali a quelle del tempio della Concordia, del quale è più o meno coevo e di poco inferiore nelle dimensioni. Sulle pareti della cella sono ancora straordinariamente visibili le tracce del fuoco che fu appiccato all'edificio dai Cartaginesi nel 406 a.C., durante la distruzione ed il sacco di Akragas.
Ad est del tempio si trovano i resti del consueto altare per i sacrifici e un tratto di strada profondamente solcata dalle tracce di carri.
Se queste sono le tappe essenziali della visita, tante altre sono ancora le tracce dell'antica città che si possono osservare: dal Tempio di Esculapio alla tomba di Terone fino al quartiere ellenisticoromano con l'oratorio di Falaride, l'ekklesiasterion e il bouleuterion, per finire all'interessantissimo Museo Archeologico nel quale sono custoditi preziosi reperti akragantini, quali le grondaie a testa di leone che ornavano alcuni dei templi, i vasi splendidamente dipinti, ma anche pannelli e plastici che consentono di farsi un'idea più precisa della città e dei suoi monumenti.

(tratto da "Sicilian World Heritage")

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